Presentazione del Prof. Adelfio Elio Cardinale Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Palermo.
Ho accettato con piacere l’invito rivoltomi da Nicolò Sangiorgio a scrivere la presentazione della sua ultima opera. In qualità di docente e preside ho costantemente ritenuto che l’istruzione universitaria ha sempre avuto l’ideale di insegnare al giovani non solo dottrina, ma anche il modo con cui la conoscenza è stata acquisita e progredisce. Finalità di alta valenza etica. Non a caso in greco le “cattedre” erano denominate thrónoi cioè “troni”, la stessa parola impiegata per indicare il seggio del re o del giudice. Alfonso Giordano – scienziato, umanista, igienista, biologo, sociologo, filantropo – merita di essere ricordato e tratteggiato. In un contesto svantaggiato – come Lercara e la Sicilia, spesso isolate in un provincialismo soffocante – si colloca Alfonso Giordano. Uomo di scienza nativo da quella Italia meridionale, che Sofocle chiamava “Italia illustre”, dove ebbe culla quell’indagine che prese poi il nome di “biologia”. Il volume di Sangiorgio è un insieme di tasselli che contribuiscono alla compiutezza di un mosaico. Principiando la Lercara si delinea un mondo composito e poliedro che va oltre la nostra Sicilia. Una rappresentazione non letteraria e non retorica, spesso ignorata, desolata, trascurata. Essere medico in Sicilia. Sovviene alla memoria, perché citato dall’Autore, la lucida analisi di Giuseppe Pitrè – medico, intel-lettuale, fondatore dell’etnologia e della scienza del folklore – definito da Benedetto Croce “uno degli individui che valsero da soli una società”, con il suo scritto del 1902. Altre pagine di Giordano, dense di verismo e realismo, ricordano Dickens: “… vere stamberghe, squallide, cadenti … persone sdraiate su fetidi mucchi di paglia …”. Drammatica descrizione dei tuguri degli zolfatai. Un degrado disumano, pari a quello degli slums dell’antica Londra. E inoltre. “I modi che gl’imprenditori di questi fanciulli adoperano per sollecitarli al trasporto dello zolfo sono dapprima i più crudeli pizzicotti, tali da lasciare sulle carni delle lividure per più giorni; poscia, quando questi non bastano, bruciano per mezzo delle lucerne accese i garretti e i polpacci delle gambe dei poveri fanciulli fino a produrre delle scottature ed escare sulla cute”: con queste parole lo scrittore Vincenzo Consolo – nel suo libro Di qua dal faro – ricorda uno scritto di Alfonso Giordano. È apprezzabile, nel presente volume, la meticolosa ricerca di fonti, di documenti spesso assai rari e di bibliografia. Ricordando le parole di Giovanni Spadolini – statista, grande storico, eminente professore – che affermava che l’archivio ha assolto la funzione istituzionale di luogo centrale della ricerca storico-scientifica e di laboratorio, ove l’alacrità nel conservare i documenti si sposa con il fervore degli studi sulle carte. Dalla cospicua mole di elementi, emergono – tra le molte possibili – due riflessioni. L’istituzione della Società operaia “Fratellanza e lavoro”, fa apparentare Giordano con Riccardo Bauer: quest’ultimo, laico rigoroso dedito alla fratellanza, protagonista della Resistenza, figura singolare della vita pubblica italiana, mai una carica nazionale ricoperta, anni dedicati in silenzio alla ricostruzione della vecchia e gloriosa “Umanitaria” di Milano. Testimoni e protagonisti insieme, animati da passione civile. Entrambi con lo stile di una Italia che sembra dissolversi intorno a noi. Un’Italia che si è battuta sempre per la ragione e la solidarietà, resistendo con fermezza pari al pudore. Emerge, infine, dal volume di Sangiorgio e da tutta l’opera di Giordano I’ “aura” di medicina umana. Oggi si constata amaramente che le rivoluzionarie scoperte tecnologiche della medicina hanno modificato il comportamento del medico inducendolo a perdere parte dell’attenzione verso la persona malata: dal prendersi cura del cittadino infermo si è passati a interventi settoriali sui sintomi, quasi un dialogo con la malattia e non con il malato. Nell’esercizio di quello che Ippocrate definisce “ars curandi” e il più grande storico della medicina “arte lunga” il rapporto medico-paziente valeva quanto la terapia, vi era un bilanciamento, una coincidenza fattuale fra la componente tecnologica e quella antropologica della medicina. Per contro, sempre l’esercizio della professione si è con-sustanziato nella medicina dell’ascolto e dell’attenzione, che pone l’uomo al centro della sanità. In quanto la medicina è l’unica scienza che ha per oggetto un soggetto: l’essere umano, nella sua interezza culturale, filosofica, religiosa, psicologica, economico-sociale. Nel libro si embricano tematiche forti e complesse: libertà e tolleranza, etica e bioetica, medicina umana, per traguardare all’epistemologia e gnoseologia. Tali rimandi e intrecci culturali sottendono una concezione dell’essere non mimetica, modellata sulla corrispondenza tra il pensiero e il mondo. Su queste premesse si delinea l’archetipo dell’uomo di cultura valido perogni tempo: colui che mette al servizio della comunità il proprio sapere, che usa le proprie capacità per far rimuovere e trasformare la vita di tutti, per aiutare il progresso della società. Il libro di Sangiorgio è un valido tassello nel percorso senza fine della storia e della scienza. Il mio augurio lo segue.
Dato in Palermo, Ottobre 2010, dalla Presidenza della Facoltà-Policlinico Universitario.